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Padre Giovanni: Congo

CURRICULUM VITAE di P. GIOVANNI QUERZANI

Questo racconto essenziale della mia vita ho voluto redigerlo di mia mano con l'unico scopo di rendere gloria al Signore per le tante "grazie" che mi ha concesso lungo il percorso della mia esistenza.

Le mie origini romagnole

Sono nato a Brisighella nella Provincia di Ravenna, in Romagna, il 28 marzo del 1943.

Erano gli ultimi anni della seconda guerra mondiale.

La mia era, come tante altre, una famiglia molto modesta: papà operaio, mamma casalinga,

2 fratelli maschi e la amatissima nonna materna che era un sostegno prezioso per la famiglia grazie al suo lavoro di servizio nella locale caserma dei carabinieri.

Ero di natura molto vivace e anche un po' ribelle, tanto che la mia bravissima mamma Giuseppina, che come me di pazienza ne aveva poca, ogni tanto si sfogava dicendo:"Va a finire che ti mando nei "discoli"(vale a dire.. nel Riformatorio) !
In Parrocchia ero tra i chierichetti e molto spesso, soprattutto nel mese di maggio, il cappellano mi incaricava di guidare la preghiera del rosario davanti all'altare della Madonna delle Grazie molto venerata a Brisighella.

Immagino che la Madonna, vedendomi così spesso inginocchiato davanti alla sua immagine recitando con voce argentina le Ave maria, si sia intenerita e abbia detto al Signore:"Guarda un po' questo ragazzino che nonostante la sua vivacità viene sempre qui a presiedere alla recita del rosario..."

Probabilmente è qui l'origine della mia vocazione al sacerdozio.

Fatto sta che, dopo aver terminato le scuole elementari a Brisighella, un giorno il Cappellano, Don Renato Bruni, mi chiese:"Dov'è che l'anno prossimo i tuoi genitori ti mandano a studiare?"

"Mah, non lo so..., mia mamma dice sempre che vuol mandarmi nei "discoli ".."

"Non ti piacerebbe piuttosto andare in Seminario ?

Ci parlo io con tua mamma... "

In Seminario a Faenza

Così, senza averlo minimamente previsto, sono andato a finire, non nei "discoli", ma nel Seminario diocesano di Faenza. Anni belli e tanti ricordi di compagni simpatici.

Un rettore, don Gualdrini, severo, ma di cuore molto aperto. E dei bravi professori trai quali uno, don Domenico Casadio, che apprezzavamo in modo speciale per il suo spirito sagace oltre che per le sue capacità didattiche.

Avevo 13 anni ed ero in terza media quando un giorno, mentre ero a scuola, il Rettore mi fece chiamare per dirmi che dovevo andare a casa perché mio babbo non stava bene.

Da quattro anni mio babbo era ammalato. Gli avevano scoperto una forma di leucemia cronica di cui a quei tempi non esistevano cure efficaci. Da allora era iniziato un calvario di ricoveri ospedalieri continui con mia mamma sempre al suo capezzale per assisterlo. Quel giorno andai a casa con in cuore un triste presentimento. Infatti lo trovai morto già pronto per il funerale.

Poco tempo dopo mia mamma, che oltre essere una brava sarta, se la cavava benissimo in tutti i lavori, fu invitata dai Frati francescani presenti a Brisighella nel convento dell'Osservanza, ad andare, almeno temporaneamente, a prestare servizio nel convento perché la loro anziana cuoca era morta ed erano in grande imbarazzo. Constatata la bravura di mia mamma, la pregarono di restare in permanenza al loro servizio. Ci è restata per più di 30 anni.

Ogni anno veniva invitato in Seminario qualche Missionario che ci raccontava le sue esperienze di vita missionaria. Ed è lì che è nato in me il desiderio di farmi Missionario.

A S. Pietro in Vincoli c'era il Noviziato dei Missionari Saveriani dove dal nostro Seminario era entrato alla fine del liceo Ermanno Santandrea, mio compaesano. Andammo a trovarlo e decisi in cuor mio che avrei seguito lo stesso cammino. Avevo terminato il ginnasio e il Rettore del Seminario che era a conoscenza del mio desiderio non poneva ostacoli, anzi ne era contento.

Dovetti però rimandare di un anno l'entrata in Noviziato per arrivare a convincere mia mamma che si mostrava reticente all'idea di vedermi in futuro partire per Paesi lontani.

Terminato il primo anno di liceo riuscii a convincerla insistendo nel dirle che il Signore a suo tempo avrebbe fatto in modo che proprio io le fossi più vicino degli altri due fratelli.

Cosa che puntualmente è avvenuta 38 anni dopo.

Tra i Missionari Saveriani

Nel 1960 sono entrato nel Noviziato dei Missionari Saveriani dove la formazione spirituale era giornalmente integrata da lavori manuali nei campi, nell'allevamento dei polli e in altre attività pratiche che sarebbero risultate utili per la vita missionaria.

Dopo la prima Professione religiosa andai a terminare il liceo nella Casa Saveriana di Desio (Mi) e, dopo la pausa di un anno di “prefettato”(assistenza ai ragazzi) nella Casa apostolica Saveriana (=Seminario) di Udine, gli studi teologici nella Casa Madre di Parma.

Alla fine della Teologia, davanti alla prospettiva del Sacerdozio, mi era venuto il dubbio se continuare o no. Tenendo conto della mia propensione naturale per la medicina che consideravo una cosa molto importante in terra di Missione, mi chiedevo se non sarebbe stato meglio che diventassi "medico missionario", anziché prete.

Il Padre che ci dirigeva spiritualmente taglio corto:"Tu diventa prete e dopo farai anche il resto!" Gli feci fiducia.

Il 13 ottobre 1968 sono stato ordinato Sacerdote nella cattedrale di Parma assieme ad altri 32 miei compagni.

Il 29 ottobre fu il giorno della mia prima Messa a Brisighella.


In vista del lavoro nei Paesi di Missione sentivo che sarebbe stato molto utile avere un bagaglio di conoscenze in campo medico-sanitario, conseguendo, se non altro, un diploma di infermiere.

A questo scopo, assieme ad un altro mio compagno, avevo frequentato, nel pomeriggio, il Corso per infermieri nell'ospedale di Parma. Ma alla fine del Corso la direttrice, che era una Suora della Congregazione chiamata delle "Cappellone", non ci ammise agli esami per il fatto che non avevamo potuto seguire il tirocinio pratico richiesto che avevamo in previsione di fare nel corso delle vacanze.

La Missione dove ero stato destinato era in Africa, il Congo-Kinshasa, ex Congo belga e ne ero molto contento.

La preparazione linguistica per i Padri destinati nei Paesi francofoni si faceva nella capitale de Belgio, Bruxelles. Eravamo ospiti nella casa dei Padri di Scheut e frequentavamo i Corsi in una apposita scuola.

Siccome di Francese non ero completamente digiuno avendolo studiato nel Seminario di Faenza, l'apprendimento fu particolarmente celere. Colsi così l'occasione di chiedere di poter trasferirmi ad Anversa per frequentare il Corso di specializzazione in medicina tropicale che era indispensabile in Congo per poter esercitare qualsiasi tipo di attività in campo sanitario.

Nel 1970 ero pronto per la partenza che avvenne il 12 settembre da Roma in compagnia di un altro Padre.

Missionario in Congo

Arrivammo a Kinshasa, la capitale del Congo, a mezzanotte. Per fortuna c'era un Padre di Scheut che era venuto ad accoglierci. Era infatti nel Centro dei Missionari di Scheut che era previsto per noi lo studio della lingua swahili parlata all'estremo Est del Paese, dove avevamo le nostre Missioni. Constatammo subito che era una patente incongruenza studiare la lingua Swahili a Kinshasa dove la lingua parlata era il Lingala, mentre a Bukavu, nel Sud Kivu dove avremmo lavorato la Congregazione dei Missionari d’Africa (Padri Bianchi) organizzava ogni anno un Corso di lingua Swahili, col vantaggio di poterla praticare mentre si studiava. Scrivemmo una lettera al Superiore Regionale che allora risiedeva a Bujumbura, in Burundi senza ricevere risposta. Quando il vescovo di Uvira venne a Kinshasa per partecipare alla riunione dei Vescovi del Congo, mi suggerì di partire con lui per andare a spiegare a viva voce al Superiore Regionale che era opportuno per noi trasferirci a Bukavu.

Il Superiore accolse la proposta.

La breve permanenza a Kinshasa mi lasciò l' impressione desolante di una megalopoli con immense periferie brulicanti di gente, con scarsissimi servizi e molta povertà.

Mentre mi trovavo a Uvira in attesa che gli altri due Padri si trasferissero da Kinshasa a Bukavu, ebbi la possibilità di effettuare un avventuroso viaggio nella regione dell'Urega dove dal Seminario minore di Mungombe, situato in piena foresta, sapendo che avevo seguito il Corso di medicina tropicale e avevo il mio microscopio, mi avevano invitato ad andare a fare l’esame delle feci ai seminaristi e curarne le parassitosi intestinali. E mi buscai così il nomignolo di “caghetta”.

Alla prima occasione ritornai a Bukavu dove il Corso di kiswahili era ormai al termine.

Dopo un soggiorno di pochi mesi nella Procura dei Padri Bianchi, ricevetti la mia prima destinazione: la Missione di KITUTU, nella regione dell'Urega.

Nella Missione di KITUTU

La missione di KITUTU, situata nelle zona forestale dell'Urega era la missione più lontana dal centro della Diocesi di UVIRA affidata ai Missionari Saveriani. Per arrivarci occorreva passare dalla città di Bukavu, capoluogo del Sud-Kivu (130 Km da Uvira) e poi avventurarsi per altri 220 Km su una strada sterrata in certi tratti quasi impraticabile.

Il territorio di Kitutu era considerato dal regime di Mobutu "zona rossa", vale a dire "zona dove erano considerati presenti e attivi i guerriglieri di Laurent Désiré Kabila che operavano a partire da Hewa Bora distante più di 200 Km da Kitutu.

Col pretesto di questa presenza ribelle, più potenziale che reale, la zona era fortemente militarizzata e i soldati di Mobutu si permettevano spesso tutte le angherie e i soprusi possibili. Una situazione quindi insicura e di notevole sofferenza per la popolazione. E' in questo contesto che ho iniziato la mia vita missionaria dedicandomi, oltre che al lavoro pastorale, all'attività sanitaria nell'ambulatorio che avevo iniziato nel quale affluivano tanti malati.

Durante i viaggi apostolici nei numerosi villaggi sparsi nella foresta , dopo l'ordinaria attività pastorale (confessioni, Messa, incontri formativi..) seguiva sempre la cura di tanti malati che non avevano altro ricorso.

A una ventina di Km. dal Villaggio di Kitutu, centro della Missione, c’era a Kagelagela un lebbrosario dove vivevano una sessantina di lebbrosi con le loro famiglie, in stato di totale abbandono. Ci andavo spesso per assicurare loro le cure di cui avevano bisogno e medicare le loro piaghe. Mi preoccupai di riabilitare il loro Dispensario e riparare le loro casette dissestate. Una piccola goccia di sollievo e di speranza in quel mare di sofferenza.

A causa della presenza dei militari, abituati ad angariare la popolazione, la situazione diventava a volte critica, al punto che le famiglie dei maestri che vivevano nei pressi della Missione, inviavano le loro mogli e soprattutto le loro figlie a passare la notte nel recinto della Missione per poterle sottrarre alle angherie dei militari che a volte non esitavano a portarsi via le ragazze. Più di una volta ho dovuto affrontare con coraggio e fermezza, a mio rischio e pericolo, i militari che stavano infierendo su gente inerme.

Questi primi tre anni di vita missionaria in un contesto così difficile hanno lasciato una forte impronta nel mio animo facendomi sentire la bellezza e l'importanza di una presenza missionaria ispirata al Vangelo tra gente inerme e oppressa.

La mia attività sanitaria a favore dei malati aveva impressionato il nostro Superiore Regionale, anche lui dedito alla cura dei malati ma molto più anziano di me, al punto che, dopo avermi suggerito di intraprendere gli studi di medicina per conseguire una laurea, introdusse questa richiesta ai Superiori della Direzione Generale della Congregazione. La sua proposta fu accolta con favore.

Poco prima di lasciare Kitutu mi si presentò l'opportunità di contattare a Bukavu una Congregazione di Suore che, provvidenzialmente, si resero disponibili a prendere in mano e dare continuità all'ambulatorio di Kitutu.

In Italia per gli Studi di Medicina

Arrivando in Italia pensavo che avrei intrapreso gli studi di Medicina all'università di Parma, dove conoscevo l’ambiente. Mi inviarono invece a Napoli dove, nel quartiere di Posillipo, la Congregazione gestiva una Clinica per le malattie della pelle fondata diversi anni prima dal P. Turci, un Padre romagnolo medico espulso dalla Cina e deceduto da alcuni anni.

Mi sentii subito spaesato, sia per il brusco passaggio dalle foreste di Kitutu all'Italia, sia per il fatto di dover intraprendere studi così impegnativi in un ambiente che non sentivo congeniale. Mi vennero dubbi profondi sull'opportunità di impiegare tanti anni per conseguire una laurea in Medicina con una eventuale specializzazione in chirurgia. La laurea mi avrebbe probabilmente "limitato"in un ruolo di medico nell’ambito di un ospedale, quando dentro di me, con la nostalgia dell'esperienza vissuta a Kitutu, sentivo il bisogno di spaziare andando incontro alla gente nei villaggi più abbandonati per curare le malattie corporali, ma anche per fare il prete.

C’era poi un altro dubbio che mi rodeva dentro: una volta conseguita la laurea c’era il probabile pericolo che mi bloccassero in Italia per dare continuità alla clinica di Posillipo, cosa che avrebbe sotterrato l’ ideale missionario che mi aveva spinto a entrare nei Missionari Saveriani lasciando il Seminario di Faenza.

Presi allora la sofferta decisione di "rinunciare" ai lunghi studi di medicina, contentandomi di prendere quel Diploma di Infermiere che a suo tempo la Suora "Cappellona" di Parma mi aveva impedito di conseguire.

Inoltre, colsi l'occasione per andare in Spagna, a Fontilles, per frequentare un Corso di specializzazione in leprologia (=cura della lebbra)

Di ritorno in Congo

Al mio ritorno in Congo mi sentii subito a casa mia.

Nel frattempo i Saveriani fino allora concentrati nella diocesi di Uvira, avevano preso la decisione di aprirsi ai bisogni della Diocesi di Kasongo, contigua a quella di Uvira, una diocesi immensa e molto povera di clero indigeno. Mi portai volontario per esservi inviato. Ma si impose, inaspettata, un'altra esigenza.

Il Superiore Regionale mi chiese la disponibilità di andare a Mungombe, sempre nell'Urega, per sostituire per qualche mese un Padre che, pur avendo bisogno di tornare in Italia per controlli e cure, non voleva partire per paura che gli chiudessero la Missione di Mulambula contigua al Seminario minore diocesano.

Accettai senza problemi. La permanenza nel Seminario minore di Mungombe per prendermi cura della Parrocchia di Mulambula, invece di tre mesi, durò un anno intero. Il Padre che avevo sostituito,era uno zelante e infaticabile camminatore, e, al suo ritorno, fu destinato alla vasta Missione di Fizi dove il parroco aveva dovuto ritirarsi per malattia. La parrocchia di Mulambula si era deciso di cederla al clero diocesano di Uvira. Portai a termine la costruzione della chiesa e accolsi il sacerdote congolese che doveva prendere in mano la Parrocchia. Fu proprio in questo ultimo scorcio di permanenza a Mungombe che ebbi la gioia immensa di accogliere mia mamma la quale aveva deciso, cosa inconcepibile per lei che non si era mai mossa da Brisighella, di venirmi a trovare in Congo trascorrendo qualche settimana con me.

Fu per lei una esperienza eccezionale e indimenticabile.

Nella Missione di KAMPENE in Diocesi di Kasongo.

Subito dopo la visita di mia mamma, nel settembre de 1978 raggiunsi in aereo la Missione di KAMPENE, in Diocesi di Kasongo, situata in piena foresta nella Provincia del Maniema che ha come capoluogo la città di KINDU.

Kampene era una Missione tenuta dai Padri Bianchi che avevano vivamente sollecitato la mia presenza in appoggio alla loro équipe. Il Superiore della Missione, un Padre belga di origine fiamminga, uomo di cuore e di grande apertura d'animo, mi accolse molto fraternamente. Sapendo che ero infermiere e avevo una specializzazione in leprologia, mi invitava sempre ad accompagnarlo nei suoi viaggi apostolici sollecitandomi, oltre al lavoro pastorale, a effettuare un censimento dei lebbrosi che dall'Indipendenza del Congo nel 1960 non era più stato fatto.

Dopo appena un anno, Mons. Pirigisha, Vescovo di Kasongo che ci voleva bene e ci stimava, decise di affidare ai Saveriani una Parrocchia della sua Diocesi e scelse la Parrocchia di SHABUNDA situata nella regione dell'Urega nella parte Nord della Diocesi designando me come Parroco. Tenendo conto però della reticenza manifestata sia dai Padri Bianchi che avevano fino allora gestito la Parrocchia, sia dalla Comunità delle Suore presente nella Parrocchia chiesi che l'incarico di Parroco, almeno in un primo tempo, fosse affidato ad un anziano ma ancora vigoroso Padre Bianco che ci voleva bene.

Nella Missione di SHABUNDA

Nel mese di novembre del 1979 mi trasferii da Kampene a Shabunda.

La Missione di SHABUNDA aveva un territorio immenso. Solo verso Sud si estendeva per più di 200 Km !

I Safari (=viaggi apostolici) in visita ai villaggi sparsi nella foresta duravano due o tre settimane, a volte un mese e più, su strade spesso sconnesse e quasi impraticabili.

Certe zone erano raggiungibili solo a piedi o in canoa lungo il fiume Ulindi.

Vita dura e avventurosa, ma sempre compensata dalla gioiosa accoglienza della gente che ci mostrava tanta benevolenza.

Nel mio bagaglio avevo sempre una buona riserva di diverse medicine che mi permettevano di soccorrere tanta gente affetta da varie malattie. I casi più complicati, quando era possibile, me li portavo alla Missione.

Ricordo in particolare una epidemia di dissenteria bacillare che colpì il grande villaggio

di Shabunda dove nelle capanne dei diversi quartieri c'erano centinaia di malati che andavo a curare a domicilio, dato che non avevano la forza di accedere al dispensario gestito dalle Suore. Le gente con simpatia mi aveva affibbiato il nomignolo di "Katanduka" che nel loro dialetto Kirega significava "colui che è sempre in moto e si dà molto da fare". A Shabunda, nei tre anni che vi ho lavorato, ho lasciato una parte del mio cuore.

Data l'enorme estensione della Parrocchia di Shabunda,il vescovo di Kasongo, Mons. Pirigisha, aveva in mente di dividerla in due settori, per assicurare nella parte sud la presenza permanente di due Padri per una più intensa cura pastorale.

Io, assieme ad un altro Padre, ci eravamo detti disposti ad andarci.

Ma un fatto imprevisto venne a mandare in fumo questo progetto.

Nella Missione di Kampene, la Società Mineraria belga SOMINKI, che da anni vi estraeva "la cassirerite", aveva deciso di abbandonare quell'attività divenuta poco redditizia e voleva lasciare alla Diocesi di Kasongo il piccolo complesso ospedaliero divenuto negli ultimi anni più o meno fatiscente. Il Vescovo, sensibile al bene della gente, aveva accettato l'offerta. Il problema era: a chi affidare l'incarico di rilanciare quell'ospedale unico presidio sanitario di quella vastissima zona?

Il vescovo pensò a me ritenendo che, nonostante fossi solo infermiere, ero l'unico in grado di poterlo fare. Inviò a Shabunda il Superiore Regionale dei Padri Bianchi e quello dei Padri Saveriani con l'incarico di venirmi a fare la proposta a suo nome. Anche se questo veniva a scombinare tutti i piani che avevo in testa, come avrei potuto dire di no al Vescovo sapendo che lo faceva per il bene di tanta gente?

Accettai di tornare a Kampene col nuovo incarico.

Di nuovo a KAMPENE come Direttore dell'ospedale

A Kampene trovai di nuovo come Superiore della Comunità quel Padre Bianco che tanto apprezzavo. Mi accolse con la consueta simpatia e mi incoraggiò a intraprendere il nuovo pesante impegno. Ebbi anche la fortuna di avere con me una équipe di tre Volontari: un prete "fidei donum" di Bergamo, don Agostino Salvioni, assieme a due volontarie laiche, Maria e Mariuccia. Maria era una eccellente animatrice delle mamme e Mariuccia, pur non essendo infermiera, decise di venirmi a dare una mano nell'ospedale. Don Agostino, che aveva doti eccezionali per i più diversi lavori manuali, si dedicò subito con grande impegno ai lavori di ristrutturazione dell'ospedale, mentre io ero totalmente impegnato nell'accogliere e curare gli ammalati che affluivano sempre più numerosi per la fiducia che avevano nel Padre "Muganga" (=dottore).

Non avendo nessuna esperienza in campo chirurgico, la Provvidenza mi inviò Gustave, un infermiere in pensione con una notevole esperienza nel campo chirurgico, e sua moglie che era ostetrica. Vi affiancai un giovane infermiere che inviai a fare uno "stage in sala operatoria" nell'ospedale di Kalima dove c'era un bravo chirurgo belga. Sua moglie, brava infermiera con esperienza di laboratorio assicurava l'esecuzione degli esami essenziali.

Affidammo l'ospedale alla Madonna e nella piccola cappella dell'ospedale c'era ogni giorno la celebrazione della Messa e la recita del rosario.

Devo riconoscere che il Signore ci ha veramente assistito facendo in certi casi che parevano disperati degli autentici miracoli.

Basta pensare che delle tante operazioni, a volte anche molto impegnative, svolte nel nostro piccolo ospedale non abbiamo registrato nessun decesso post-operatorio.

Ma il lavoro di quei tre anni, col peso della responsabilità di tanti malati, è stato veramente duro e sfibrante.

La Provvidenza fece sì che durante un breve periodo di congedo in Italia avessi la fortuna di prendere contatto con una Associazione, il CVM (Centro Volontari Marchigiano) che in seguito decise di prendere in mano, inviare un medico e alcuni infermieri, per prendere in mano la conduzione dell'ospedale. Un impegno portato avanti per più di 15 anni.

Lasciando Kampene nel 1985, dopo aver portato sulle spalle la pesante responsabilità della conduzione sanitaria e amministrativa dell'ospedale di Kampene, mi preparavo a tornare in Italia per un po' di riposo.

Una breve ma intensa parentesi nella Missione di KITUTU

Mentre ero nella Casa Regionale di Bukavu in attesa della partenza, il Superiore Regionale mi chiese di rimandare di qualche mese il mio ritorno in Italia proponendomi di andare nella Missione di KITUTU dove il confratello che era parroco aveva dovuto partire improvvisamente in Italia per la grave malattia di uno dei suoi genitori. I due Padri rimasti avevano bisogno di una mano per il periodo della Quaresima fino a Pasqua.

Non immaginavo che in quei tre mesi avrei vissuto una delle esperienze più forti della mia vita. Il giorno stesso in cui affrontai il lungo viaggio per raggiungere Kitutu, due interi battaglioni di Para-Comando erano stati inviati in quella zona dal Presidente Mobutu per sradicare la presenza dei ribelli. Circa due settimane prima la cittadina di Moba, situata nella parte orientale del Katanga, era stata attaccata dei Guerriglieri ribelli di Kabila. Proprio in quei giorni tutti i capi tradizionali del Congo si trovavano a Kinshasa convocati dal Presidente Mobutu il quale, furioso alla notizia di quell'attacco, chiese loro:"Ditemi se da voi ci sono ancora di questi ribelli che voglio farla finita !" Il giovane e incauto capo della Chefferie di Kitutu alzò la mano e disse senza valutarne le conseguenze: Da me, nel mio territorio".

Quei due battaglioni di Para-comando erano dunque stati inviati per mettere a ferro e a fuoco tutto quel territorio infliggendo alla popolazione enormi sofferenze.

Fu così che durante uno dei safari apostolici, mentre mi trovavo nel villaggio di Katindi, fui testimone di una razzia dei militari operata in piena notte sugli abitanti di quel villaggio. I soldati entravano nelle capanne per rubare e sequestravano uomini, soprattutto giovani, come presunti ribelli, per potere in seguito estorcere alle famiglie il prezzo del riscatto. Indignato, la mattina seguente andai ad affrontare il loro comandante. "Perché questa notte avete infierito in quel modo sugli abitanti inermi di questo villaggio?

"Abbiamo un ordine in missione contro i ribelli "! - mi rispose.

"Puoi mostrarmelo ?", ribattei.

Andò su tutte le furie e mi fece arrestare chiudendomi dentro una capanna dove seduti per terra a dorso nudo c'erano una decina di uomini con le mani legate dietro la schiena. Vedendo le sevizie che un militare visibilmente ubriaco faceva su quei poveretti, andai a protestare perché lo facessero smettere.

Dopo circa due ore, imbarazzati dal mio arresto e dalla mia scomoda presenza, vennero a dirmi che non intendevano ostacolare la mia visita ai cristiani. Potevo dunque andarmene.

"D'accordo, ma prima restituite l'orologio che avete portato via al mio catechista". Cercarono l'orologio, lo restituirono e la cosa fini lì.

Ma da quel giorno prendevo nota di tutte le angherie e gli abusi che i militari commettevano contro la popolazione.

Dopo Pasqua, quando tornai a Bukavu, chiesi udienza al Governatore che, per fortuna in quel periodo,cosa del tutto eccezionale, era una brava persona, e gli presentai un rapporto dettagliato di tutto quello di cui ero stato testimone. Prese il documento e mi ringraziò.

Tornato in Italia, dopo appena una settimana ebbi la grande gioia di ricevere la bella notizia che il Governatore aveva fatto ritirare da Kitutu tutto quel contingente di militari predoni.

Una grande sofferenza psicologica

Invece del riposo di cui avevo bisogno, mi trovai in Italia confrontato a una grande sofferenza psicologica che mi creò uno stato di depressione.

I Superiori volevano tenermi in Italia e mi avevano destinato come coadiutore del Maestro dei Novizi nella Casa Saveriana di Ancona. Un ruolo per il quale non mi sentivo tagliato. Nel travaglio interiore che provavo chiesi di poter seguire a Roma i Corsi di aggiornamento teologico-pastorale che altri confratelli Stavano seguendo. Questo avrebbe potuto aiutarmi ad adattarmi alla prospettiva di una permanenza prolungata in Italia. Alla fine del Corso, con mia grande sorpresa, il Padre Generale che era venuto a visitarci, mi annunciò: "Tu ritorni in Congo".

Nella Parrocchia di KADUTU nella città di BUKAVU, capoluogo del Sud-Kivu

Nella parrocchia di KADUTU era da poco morto in un incidente stradale un padre dinamico e molto benvoluto dell'équipe dei Saveriani che collaboravano in quella parrocchia con parroco congolese. E' lì che nel 1986 fui inviato per rimpiazzarlo.

Fino allora avevo lavorato per diversi anni in Missioni situate nelle foreste dell'Urega.

Lunghi e difficoltosi viaggi apostolici in zone vastissime e poco popolate dove la gente, pur essendo povera, aveva un campo da coltivare che ne assicurava in qualche modo la sopravvivenza.

L'impatto con la città fu psicologicamente shioccante. Qui era un afflusso continuo di gente con un ammasso di problemi assillanti e spesso vere difficoltà di sopravvivenza. Ci si sentiva sopraffatti e impotenti.

Ero sempre in mezzo alla gente e il mio ufficio in parrocchia era assediato da persone con problemi di salute che non avevano soldi per farsi curare o poveracci che venivano a chiedere aiuto. Avevo ancora il mio microscopio e me ne servivo per diagnosticare soprattutto le parassitosi intestinali e i casi sospetti di tubercolosi.

Andavo spesso nei quartieri a visitare la povera gente o a prestare cure sempre assediato da stuoli di simpatici bambini.

Dopo appena un anno fui inviato nella Parrocchia contigua di CAHI, affidata ai Saveriani, dove il Parroco era rimasto solo ed era molto affaticato.

A CAHI c'era un Centro sanitario tenuto dalle Suore dove prestavo la mia collaborazione. Vi organizzai i controlli e le cure per i diabetici che costituivano un grosso problema sanitario. Colpito dall'indigenza estrema di certe persone anziane rimaste sole o abbandonate mi impegnai a costruire un modesto complesso di casette di legno per permettere loro di avere un alloggio decente e gratuito.

Anche nella Parrocchia di CAHI l'esperienza durò poco più di un anno e la successiva destinazione mi riportò nella Diocesi di UVIRA in una vasta Missione nel sud della Diocesi, BARAKA.

Nella Missione di BARAKA in Diocesi di Uvira

La Missione di Baraka situata nella Regione dell'Ubembe si estendeva in gran parte sulle coste del grande Lago Tanganika fino alla Provincia del Katanga.

I viaggi apostolici si facevano in gran parte col battello a motore della Missione che prendeva il largo sul lago Tanganika per raggiungere la penisola dell'Ubuhari e scendere lungo le coste dove erano situati i vari villaggi. I viaggi duravano due o tre settimane o anche più e si tornava alla Missione cotti dal sole, stanchi ma contenti di aver portato gioia e speranza a tanta gente.

Nella Missione di Baraka erano morti martiri due giovani confratelli Saveriani uccisi nel 1964 durante la ribellione dei Mulelisti.

Alla Missione avevo organizzato un ambulatorio sanitario assieme a un infermiere congolese che quando ero assente mi sostituiva.

Due anni di intensa attività tra i Babembe, gente dal temperamento fiero e ribelle.

Quando il Parroco della Missione, che stimavo molto, fu richiamato all'Economato della Diocesi di Uvira, anche per me si prospettò una nuova destinazione.

Nella città di GOMA, capoluogo del Nord-KIVU: una esperienza indimenticabile

Dal 1990 al 1994 ho avuto la fortuna di vivere a Goma accanto al P. Silvio Turazzi, un Padre Saveriano paraplegico che, dopo l'incidente stradale che lo rese disabile e dopo aver passato i pochi anni di vita che i medici gli avevano pronosticato tra i baraccati di Roma e in un quartiere malfamato di Ostia, ebbe il coraggio, assieme alle sue due collaboratrici laiche, di partire per il Congo.

Fu destinato al Centro di riabilitazione per disabili di GOMA e in seguito diede inizio a un Centro di Assistenza per bambini malnutriti e altre opere sociali a favore dei più poveri. Accanto al loro Centro Muungano viveva la nostra Comunità Saveriana di cui facevano parte giovani congolesi che iniziavano il cammino per diventare Missionari.

Io ero impegnato nel lavoro pastorale della Parrocchia della Cattedrale in appoggio al clero locale.

Nel vicino Ruanda era cominciata alla fine di ottobre del 1990 la guerra tra il Fronte Patriottico Ruandese (FPR), formato dai figli dei profughi Tutsi rifugiati in Uganda dopo la presa del potere nel 1059 da parte degli Hutu, e il regime del Presidente Hutu Abyarimana . Numerosi giovani Tutsi che vivevano nel Nord e nel Sud-Kivu passavano da Goma per andare ad arruolarsi nel FPR. La situazione era foriera di grandi drammi futuri. Anche in Congo, dove dominava il regime dittatoriale del Presidente Mobutu, la situazione era molto critica.

Nel 1993 scoppiarono, soprattutto nel zona del Masisi, dove i ruandesi (Hutu e Tusi) erano numerosi, dei violenti e sanguinosi scontri tribali. Due delle principali tribù congolesi, i Bahunde e i Banyanga, si misero in guerra contro i residenti ruandesi che occupavano molte delle loro terre. Arrivavano a Goma frequenti notizie di attacchi, massacri e migliaia di profughi che avevano bisogno di tutto.

Non potevamo rimanere insensibili e inerti. Nonostante tutti i rischi che si potevano correre, organizzammo alcuni viaggi in quelle zone turbolente per cercare di portare soccorso alle persone più vulnerabili.

Una di quelle operazioni di soccorso fu particolarmente pericolosa:quella che intrapresi per portare soccorso agli sfollati ruandesi che si erano rifugiati nella parrocchia di KATWE. Partii indossando il camice bianco da medico assieme a un autista congolese con un carico di medicine, coperte e un aiuto pecuniario da portare in quella Missione. Durante il viaggio venimmo a sapere che una équipe di una Organizzazione Umanitaria che aveva tentato di raggiungere quella zona pericolosa aveva battuto in ritirata. Nonostante questo andammo avanti. Arrivati in un villaggio dove diverse capanne erano ancora in fiamme dopo il centroattacco operato durante la notte dai miliziani Hutu, incontrammo i guerriglieri Bangilima che erano furiosi. Circondarono con lance e fucili la nostra Lan-Rover con intenzioni ostili. Alcuni particolarmente eccitati gridavano: "Uccidiamoli!".

Il Signore mi diede il sangue freddo di scendere con calma dalla macchina e chiedere:"Non avete un capo? Portatemi da lui".

Mi portarono alla sua presenza e spiegai che ero un Padre Missionario inviato per portare un po' di assistenza ai Padri della Missione di Katwe.

"Anche noi abbiamo bisogno" - rispose il capo.

"Nessun problema, possiamo dare anche a voi un po' delle medicine di cui avete bisogno".

"Bene" - aggiunse il capo - " voi comunque rimanete qui nel villaggio. Io e i miei uomini andiamo avanti fino alla biforcazione dove la strada scende verso Bangu (che era la roccaforte dei ruandesi). Verso la fine della notte vogliamo sferrare un attacco per distruggerli. Arrivati alla biforcazione, se la strada è libera, invierò qualcuno ad avvertirvi e potrete proseguire verso Katwe"

Ci fermammo nel villaggio dove portammo soccorso a un gruppo di sfollati.

Aspetta e spera il tempo passava e nessuno si faceva vivo. A un certo punto sentiamo il rombo di un camion. Era un camion di una Società mineraria che andava a Katwe per recuperare parte del loro materiale.

Prendemmo la decisione di seguire il camion e, vedendo che procedeva troppo lentamente, lo superammo per arrivare in fretta alla Missione di Katwe.

Il Parroco ci accolse con sorpresa e gioia e tutti i rifugiati che assiepavano la Missione ci guardavano con stupore. Mangiammo qualche cosa e, dopo aver fatto una breve intervista, ripartimmo. Dovevamo tornare in fretta perché i guerriglieri Bangilima che erano scesi a Bangu per attaccare gli Hutu, nel caso avessero avuto delle perdite, loro che si ritenevano invulnerabili, incontrandoci avrebbero potuto vendicarsi su di noi.

Il ritorno fu rapido. Qualche brevissima fermata per scattare alcune foto ai cadaveri che marcivano sui bordi della strada, e prima che facesse buio eravamo già oltrepassato la zona più pericolosa. Arrivammo a Goma oltre la mezzanotte.

Pocotempo dopo ricevetti la notizia che mia mamma doveva essere operata di un tumore all'intestino e tornai in Italia. L'assistetti durante la degenza in ospedale e la convalescenza. La ripresa fu buona e questo mi consentì di tornare a Goma dove la situazione si faceva più inquietante soprattutto per gli sviluppi della guerra in corso nel vicino Rwanda dove il conflitto tra i Tutsi del Fronte Patriottico e gli Hutu del Presidente Habyarimana era sempre più intenso, nonostante l' "accordo di pace" stipulato nel 1993 ad Arusha, in Tanzania, tra i due belligeranti.

Purtroppo la situazione sfociò in tragedia con l'inizio del genocidio quando il 6 aprile del 1994 l'aereo con cui il Presidente Habyarimana rientrava da Arusha fu abbattuto al suo arrivo a Kigali da un missile terra-aria causandone la morte. Questo fatto traumatico scatenò il genocidiodegli Hutu contro i Tutsi.

Migliaia di profughi Tutsi cercavano rifugio a Goma mentre la guerra in Rwanda si era intensificata.

Il 28 Giugno rientrai in Italia per un periodo di riposo.

La vittoria e la presa di potere da parte del Fronte Patriottico Rwandese mise fine al genocidio e, di riflesso, provocò la tragedia dell'esodo di alcuni milioni di profughi Hutu di cui un milione e mezzo invase in poche settimane la città di Goma.

Vedendo nelle immagini trasmesse dalla Televisione italiana quella tragica situazione ne rimasi profondamente sconvolto. Telefonai subito al Superiore Generale a Roma dicendogli:" Non riesco a sopportare quello che sta succedendo a Goma. Se avessi immaginato una cosa del genere non sarei partito. Chiedo di poter ritornare. Come infermiere,oltre che come prete, posso rendermi utile"!

"Di salute come stai? - mi chiese.

"Grazie a Dio, bene". Mi consentì di ritornare.

Mi imbarcai assieme a due giornalisti italiani su un aereo pieno di soccorsi umanitari noleggiato dalla Caritas Italiana.

Verso la fine di Luglio ero a Goma dove ho vissuto l'esperienza più sconvolgente della mia vita.

Non avrei mai immaginato di dover assistere a una tragedia di simili proporzioni.

La città era invasa da decine di migliaia di profughi. In ogni angolo della città uomini, donne e bambini sfiniti dalla fatica, dalla fame e dalle malattie moriva nell'indifferenza e nell'abbandono più totale. Non potevo rimanere inerte.

Con una camionetta percorrevo i vari quartieri della città raccogliendo i profughi che si potevano ancora salvare e li portavo nella tendopoli che avevo allestito nello spazio tra la nostra casa e la cattedrale. Cercavo di prestare loro tutte le cure di cui ero capace e quando si erano ripresi li trasferivo nel campo profughi di Kituku, situato a una decina di Km da Goma, campo profughi più piccolo e più vivibile del vicino e immenso campo di Mugunga dove vivevano ammassati più di 300.000 profughi.

A Ndosho, nella periferia di Goma, l'Unicef e altre Organizzazioni umanitarie avevano allestito una grande tendopoli dove erano concentrati più di 7.000 bambini rimasti soli, senza genitori né parenti. Mi recai quella grande tendopoli e davanti alle condizioni di sofferenza di tanti innocenti rimasi profondamente sconvolto.

Visitai tutti i campi profughi, anche quelli lontani, 40, 60 e più Km da Goma: Kibumba, Kahindo, Katale.

Scene inimmaginabili. Ai margini di ogni campo c'erano ovunque enormi cataste di cadaveri che le ruspe prelevavano e gettavano, come se fossero spazzatura, nelle enormi fosse comuni scavate dove il terreno, di natura lavica, lo permetteva.

I sopravvissuti alle epidemie di colera e dissenteria bacillare che decimavano i campi profughi vivevano sotto ripari improvvisati di pali e frasche in condizioni miserabili. I più fortunati sotto le tende allestite dalle Organizzazioni umanitarie.

Verso la fine del mese di settembre tornai in Italia per un po' di riposo.

Al mio ritorno, nel 1995 fui inviato nella Parrocchia di Luvungi, situata nella piana della Ruzizi (l'antica piana degli elefanti) che si estende tra Bukavu e Uvira, per prendermi cura dei 6 campi profughi situati sul quel territorio.

Un altro impegno spossante per visitare e portare soccorso a tanti diseredati.

Ed è a Luvungi che il Superiore Regionale venne a cercarmi per chiedermi di andare a Bukavu a riattivare il Centro di produzione Audio-visivi che un confratello al quale era stato diagnosticato un tumore al cervello aveva dovuto abbandonare.

Mancava l'apparecchio più importante che era stato inviato in Italia per riparazione.

Proprio in quel periodo doveva aver luogo a Roma la Beatificazione del nostro Fondatore. Chiesi di poter far parte della delegazione che doveva andare a Roma in rappresentanza del Congo, per cogliere, nel contempo, l'occasione di reperire l'apparecchio per riportarlo a Bukavu.

Nel giorno stesso in cui arrivai a casa ebbi una brutta sorpresa.

La visita di controllo che mia mamma aveva appena fatto aveva messo in evidenza la presenza di una recidiva. Doveva subire al più presto una seconda operazione.

Restai per assisterla e anche questa volta la ripresa fu buona.

Mi consentì di ripartire per il Congo.

Nel mese di settembre 1996, dopo una sosta di qualche giorno a Goma, arrivai a Bukavu in un momento particolarmente critico. Un bombardamento effettuato dal Rwanda sulla città di Bukavu aveva colpito con alcuni obici il tetto dell'edificio del nostro Economato. Grazie a Dio, senza fare vittime.

Era una prima avvisaglia del nuovo dramma che si stava preparando:l'invasione del territorio congolese da parte delle truppe rwandesi e ugandesi in appoggio a un movimento Ribelle, L'AFDL, alla cui testa, per far credere che si trattava di una ribellione "congolese", era stato messo Laurent Désiré KABILA, l'antico capo ribelle anti-Mobutu.

In realtà si trattava di un piano americano concepito e ben orchestrato dall'amministrazione Clinton intenzionata a soppiantare l'egemonia francese in questa parte dell'Africa centrale. Dopo aver realizzato il primo obiettivo che era quello di riportare i Tutsi al potere in Rwanda fornendo loro tutto l'appoggio logistico-militare, perseguivano ora il secondo obiettivo che era quello di servirsi delle truppe ruandesi e ugandesi per invadere il Zaire e far cadere Il Presidente Mobutu.

Il Paese stava sprofondando in una serie di guerre che per lunghi anni avrebbero martoriato in maniera atroce la popolazione congolese.

Penetrando in Zaire a partire dal Burundi le truppe ruando-ugandesi occuparono la città di Uvira, e ,il 29 ottobre 1996, arrivarono nella città di Bukavu uccidendo l'arcivescovo Mons. Christophe Munzihirwa e provocando la fuga attraverso le foreste del Zaire di centinaia di migliaia di profughi Hutu rwandesi che venivano sistematicamente sterminati dai soldati rwandesi.

Un vero e proprio "contro-genocidio" operato dai soldati ruandesi sul territorio zairese.

Avendo constatato lo stato di deliquescenza dell'esercito Zairese, l'operazione militare, dopo la conquista di Kisangani, proseguì rapidamente verso la capitale Kinshasa che, nell'arco di pochi mesi, il 17 maggio del 1997, fu conquistata dalle truppe dell'AFDL costringendo il Presidente MOBUTU alla fuga in esilio dove morì pochi mesi più tardi.

Poco dopo la caduta di Bukavu in mano ai soldati dell'AFDL, arrivò per noi dall'Italia una amara sorpresa: i nostri Superiori della Direzione Generale chiedevano il ritorno in Italia di tutti i Saveriani che non avevano funzioni direttive importanti.

Io ero tra quelli, ma non ero per nulla disposto a rientrare in Italia dopo appena due mesi dal mio ritorno in Zaire. Oltretutto consideravo la mia qualità di infermiere abbastanza importante per poter restare.

Il Superiore Regionale ricorse a uno strattagemma: mi chiese di accompagnare un anziano cooperatore laico a Kinshasa. Accettai in base all'accordo di poter restare nella nostra Comunità di Kinshasa per rientrare in seguito a Bukavu quando la situazione lo avrebbe permesso. La consideravo una scelta opportuna pensando a mia mamma che certamente sarebbe stata meno in pensiero sapendomi a Kinshasa e non nell'occhio del ciclone a Bukavu.

Una volta però arrivato a Kinshasa, con mia grande amarezza, l'accordo non fu rispettato e dopo tre settimane fui costretto a rientrare in Italia.

Le esperienze vissute e i sentimenti provati in questo breve e tormentato periodo li ho descritti in un diario dal titolo:"I giorni della tormenta" e in una testimonianza su Mons. Munzihirwa dal titolo "La voce dei senza voce".

Tornai ad assistere mia mamma fino alla sua morte che avvenne il 27 giugno 1997.

Nel frattempo in Zaire Laurent Désiré Kabila si era autoproclamato nuovo Presidente e aveva abolito il nome "Zaire" sostituendolo con "Repubblica Democratica del Congo".

Verso la fine di settembre 1997 arrivai di nuovo a Bukavu. Avevo sempre l'incarico di portare avanti l'attività degli audio-visivi. Cercai di incentivarla servendomi della collaborazione di alcuni giovani congolesi di talento coi quali organizzammo anche uno Studio di registrazione di album musicali molto frequentato dalle diverse corali presenti in città. Ma questa attività non mi bastava.

In quella tragica realtà in cui tanta gente soffriva per le conseguenze nefaste della guerra sentivo il bisogno di fare qualcosa di concreto prestando cure e soccorsi a tanta gente derelitta. C'erano ancora tanti profughi rwandesi in città e anche tanti congolesi vivevano in condizioni di estrema indigenza.

L'occasione provvidenziale mi venne da un incontro casuale con l'Abbé (Don) Maroyi, l'attuale Arcivescovo di Bukavu, che a quei tempi era Parroco a Kadutu.

Mi invitò caldamente ad andare a dargli una mano nella sua immensa e popolosa parrocchia di KADUTU. Accettai molto volentieri.

A Kadutu c'era un refettorio per i bambini denutriti sostenuto allora dalla Caritas Diocesana sostenuta dagli aiuti dalla Caritas internazionale.

Mancava però a quei bambini particolarmente fragili a causa della denutrizione un servizio di Assistenza Sanitaria.

Il Parroco fu ben contento della mia proposta ad assumere questo servizio che mi era congeniale. Era un lavoro molto impegnativo perché i bambini bisognosi di cure erano molto numerosi.

Nel frattempo, sul piano politico, la "coabitazione" tra il Presidente Kabila e i suoi alleati rwandesi che si mostravano sempre più invadenti si era deteriorata, al punto che il 31 luglio 1998, Kabila decretò l'espulsione e il ritorno di tutti i soldati rwandesi nel loro Paese. Un affronto per loro intollerabile.

Eseguirono l'ordine, ma appena due giorni dopo, il 2 agosto, rientrarono in Congo occupando simultaneamente le città frontaliere dell'Est: Uvira, Bukavu e Goma.

Era l'inizio di una seconda guerra che aveva l'obiettivo di far cadere il Presidente Laurent Désiré Kabila.

A questo scopo il Rwanda creò un Movimento ribelle denominato RCD

(Raggruppamento Congolese per la Democrazia) che occupò militarmente buona parte delle Provincie del Sud e del Nord Kivu.

Furono perpetrati diversi e spietati massacri sulla popolazione civile accusata di essere connivente coi gruppi congolesi di resistenza "Mai-Mai" che combattevano contro l'occupazione militare rwandese.

A Bukavu era succeduto a Mons Munzihirwa come nuovo arcivescovo Mons. Kataliko che incarnava la resistenza pacifica della popolazione congolese e quindi era inviso ai Ribelli filo-ruandesi del RCD.

Nel febbraio del 1999 lo relegarono in esilio lontano da Bukavu.

La reazione popolare fu immediata e intensa. Manifestazioni e sit-in venivano costantemente organizzati per reclamare il suo ritorno a Bukavu.

Da parte mia avevo scelto alcuni salmi a contenuto fortemente sociale e li avevo messi in musica. La gente li cantava durante le varie manifestazioni.

Dopo diversi mesi di proteste e in seguito alla crescente pressione internazionale Mons. Kataliko fu fatto tornare a Bukavu tra l'esultanza popolare.

Subito dopo andò a Roma per partecipare al Sinodo dei Vescovi africani e il 4 gennaio 2000 ebbe un malore improvviso e morì.

Tutti a Bukavu pensarono a un avvelenamento operato dai dirigenti del RCD in occasione del ricevimento organizzato per il suo ritorno.

Intanto le incursioni armate e le violenze continuavano. Decine di migliaia di sfollati in fuga dai villaggi dell'interno si riversavano nella città di Bukavu creando una situazione umanitaria sempre più critica.

Il numero dei bambini malnutriti era aumentato vertiginosamente.

Nella Parrocchia di Kadutu dove, rispondendo all'appello del Parroco che voleva decentralizzare la parrocchia creando differenti settori, avevo avuto modo di acquistare, grazie all'aiuto dei miei Amici d'Italia, due terreni, uno a Buholo nella parte nord della parrocchia e l'altro a Nyamugo nella parte sud, che mi permisero di allestire altri due Refettori e centri di assistenza sanitaria per i numerosi bambini malnutriti.

Il ricordo dei 7.000 bambini della tendopoli di Ndosho a Goma aveva lasciato un marchio indelebile nel mio cuore e mi spingeva a dedicarmi interamente all'assistenza di tutti questi bambini, vittime innocenti di una guerra atroce e non voluta.

Il 16 gennaio del 2001 il Presidente Kabila veniva assassinato nel suo palazzo presidenziale e alla Presidenza del Congo fu designato "il figlio adottivo" del Presidente defunto che prese il nome di JOSEPH KABILA e le cui origini rwandesi vennero accuratamente dissimulate.

Nel settembre dello stesso anno anch'io fui aggredito e arrestato dai soldati rwandesi correndo il rischio di un'espulsione che per fortuna non avvenne probabilmente a causa del lavoro sociale che stavo effettuando a favore dei bambini denutriti di Kadutu la cui interruzione avrebbe potuto provocare la rivolta della gente.

Ho lasciato scritto questo episodio nel diario che tenevo in quel periodo.

Poco dopo iniziarono, col sostegno dell'ONU, dei tentativi di accordo tra il Governo centrale e i due Movimenti ribelli dell'Est, l'RCD filo-rwandese e l'MLC (Movimento di Liberazione del Congo creato nella parte più settentrionale del Nord-Kivu con l'appoggio dell'Uganda) che controllavano militarmente due vastissime zone del territorio congolese.

Questi tentativi sfociarono nel 2002 nell'accordo di pace di San City, in Sud Africa, e portarono alla riunificazione del Paese tramite l'adozione di una formula politica ibrida e del tutto insolita: un Presidente, Kabila, con a fianco 3 Vice presidenti appartenenti ai due Movimenti ribelli e all'opposizione non armata.

Mentre sul piano politico venivano operate queste complicate alchimie politiche, concepii il progetto di costruire nel settore di Buholo, sopra l'ampia sala costruita precedentemente come refettorio per i bambini malnutriti una bella chiesa che, anni dopo, sarebbe diventata una nuova parrocchia.

Anche nel popoloso e caotico quartiere di Nyamugo, il grande edificio che si trovava nella parcella di terreno acquistato lo trasformai in un’altra Chiesa che, nei giorni feriali, fungeva da Refettorio per i bambini denutriti presenti in quel popoloso quartiere.

Nel 2002 la Caritas diocesana annunciò che non era più in grado di sostenere finanziariamente i vari refettori presenti nelle diverse parrocchie, in quanto l'appoggio della Caritas internazionale era venuto meno.

A Kadutu i bambini denutriti erano ancora molto numerosi.

Che fare?

Lanciai un appello ai mie Amici dell'Associazione di Forlì che, senza esitare, mi assicurarono il loro appoggio. Da quel momento, oltre all'Assistenza Sanitaria assunsi anche l'onere dell'Assistenza Nutrizionale del bambini malnutriti che in quel periodo superavano il migliaio.

L'anno seguente, grazie al sostegno finanziario dell'Associazione e di Expert-Italia, concepii un altro progetto audace: riunificare i tre Refettori in un unico grande Refettorio costruendo, nel terreno situato sotto la residenza parrocchiale, il grande edificio "MURHULA"a due piani che comprendeva nella parte inferiore un ampio Refettorio e l'Ambulatorio per i bambini malnutriti e nella parte superiore un ampio salone per le riunioni e attività dei giovani della Parrocchia.

Nel 2003, in occasione della visita dell'amico Fausto Sangiorgi e di mio fratello Romano, sempre grazie al sostegno finanziario dell'Associazione di Forlì, acquistammo, a nome della Diocesi, un ampio terreno nel quale iniziai subito la costruzione progressiva di una grande scuola, denominata "MATENDO", che a lavori finiti, nel 2007, accoglieva più di 1.400 alunni.

Nel 2005, dietro impulso e il sostegno finanziario dell'amico Fausto Sangiorgi, che era rimasto colpito dal fatto che la miriade dei bambini di Kadutu non disponevano di alcun spazio di gioco, intrapresi un grande lavoro per mettere in valore il terreno attiguo all'edificio Murhula.

Diedi inizio alla costruzione un Mini-Stadio con tanto di gradinata e tribuna dove i bambini potevano giocare a pallone e svolgere altre varie altre attività e costruendo sopra il Mini-Stadio i locali che servivano per le attività della Pastorale dei bambini.

Nello stesso tempo mi ero accorto che tanti bambini delle famiglie povere che accompagnavano i bambini denutriti nel nostro Centro Nutrizionale, nonostante avessero già 10 e più anni, non avevano potuto mai andare a scuola a causa dell'estrema povertà dei loro genitori.

Per assicurare anche a loro il sacrosanto diritto all'istruzione scolastica, presi l'iniziativa di costruire progressivamente, attorno alla Chiesa di Nyamugo, delle aule scolastiche dando inizio alla SCUOLA di RECUPERO "ELIMU KWA WOTE" ( in lingua Swahili significa "Istruzione per tutti") che nel giro di pochi anni è arrivata ad assicurare la scolarizzazione gratuita a più di 500 bambini e bambine.

Tutto questo in un contesto socio-politico sempre più critico a causa delle successive ribellioni contro il Governo congolese orchestrate dal Rwanda nel continuo tentativo di destabilizzare e balcanizzare il Congo per annettersi una larga fetta dell'Est del Paese.

La costante resistenza del popolo congolese ha impedito l'attuazione di questo iniquo progetto, senza però riuscire a ostacolare il saccheggio delle ricchezze minerarie delle ricche Provincie dell'Est: coltan, oro, diamanti e altro, presenti nei territori controllati militarmente dai vari movimenti ribelli sostenuti dal Rwanda, dall'Uganda e dalle multinazionali straniere.

Nel 2006, grazie all'amico Fausto Sangiorgi che aveva presentato il mio curriculum di vita missionaria, l'Associazione "CUORE AMICO" di Brescia, nell'occasione della Giornata Missionaria Mondiale, mi conferì il "Premio Nobel Missionario".

Di ritorno in Congo ripresi la mia attività di Assistenza Nutrizionale e Sanitaria a favore dei bambini denutriti.

Un giorno, era il mese di giugno del 2006, mi arrivò in ambulatorio una bambina di 6 anni, di nome MARIAMU, affetta da un tumore maligno all'occhio chiamato "retinoblastoma".

Dopo due ricoveri ospedalieri inefficaci e la sentenza dei medici secondo la quale non c'era nulla da fare, presi la decisione, dopo averla battezzata,di dare assistenza a questa sfortunata bambina fino alla morte che ritenevo imminente.

Nel mese di ottobre 2007, la accolsi nella modestissima casetta in pali, terra e assicelle di legno che avevo acquistato alcuni anni prima per installarvi un mulino che serviva a macinare i grani di mais, sorgho e soja per i bambini denutriti.

Senza averlo previsto, era l'inizio di un'opera che avrebbe avuto in seguito sviluppi straordinari.

In poco tempo infatti quella casetta si riempì di bambini affetti da diverse disabilità o colpiti da varie situazioni di sofferenze diventando un Centro di Assistenza per bambini vulnerabili.

Nel giro di un anno la casetta non li conteneva più.

Nel mese di novembre del 2008, trasferiti i bambini in un'altra casa acquistata nel quartiere di Buholo per farne la futura canonica della chiesa costruita qualche anno prima, procedetti alla demolizione della vecchia casetta costruendo al suo posto una bella casa in mattoni.

Nel mese di aprile 2009 i bambini poterono tornare nella prima parte della nuova casa già costruita mentre i lavori proseguivano per completare la seconda parte.

Alla fine del 2009 la costruzione del nuovo edificio era terminata.

Prendeva inizio ufficialmente la "Casa-Famiglia Tupendane" che negli anni successivi avrebbe accolto e assistito centinaia di bambini vulnerabili: bambini rimasti orfani e bambini abbandonati o trascurati dai loro genitori. Mariamu, la bambina affetta da quel terribile tumore, non morì.

La Provvidenza dispose che potessimo inviarla in Uganda in un grande ospedale di Kampala dove operavano questo tipo di tumore.

L'operazione, sono convinto che sia stato anche per un intervento soprannaturale, ebbe successo.

Fatto sta che Mariamu, dopo più di 10 anni, è ancora viva ed è diventata una bella ragazza di 17 anni che vive con la mamma e le altre sorelle in una casetta che abbiamo costruito per loro

Incoraggiati da questo insperato successo abbiamo inviato a Kampala altri 22 bambini affetti dallo stesso tumore.

Nonostante fossero quasi tutti ad uno stadio molto meno grave di quello di Mariamu, dopo essere stati operati e aver avuto le stesse cure di radio e chemioterapiche, una volta tornati a casa, uno dopo l'altro sono tutti morti

Questa amara constatazione ci ha indotto nel 2013 a sospendere quella esperienza costosa e deludente.

Nel 2008, quando i primi allievi della Scuola di Recupero "Elimu kwa wote" avevano terminato il ciclo elementare e superato l'esame statale, si pose il problema: come continuare ad aiutare questi ragazzini senza abbandonarli a diventare dei "maybobo" (ragazzi di strada)?

L'unica prospettiva, e senz'altro la migliore, era quella di offrire loro la possibilità di imparare un mestiere che li avrebbe aiutati a diventare degli onesti cittadini.

A questo scopo affrontai la grande sfida di creare una SCUOLA di Apprenditato MESTIERI chiamata "Tuwe Wafundi" (Diventiamo bravi operai).

Ebbi la fortuna di poter acquistare a questo scopo una grande parcella di terreno in centro città, proprio di fronte alla prigione centrale, e impegnando gli allievi muratori che integravano l'apprendimento teorico con la pratica di cantiere, siamo riusciti in pochi anni a costruire progressivamente questo nuovo grande Complesso Scolastico per giovani volenterosi di imparare un mestiere utile per la loro vita.

Per le ragazzine abbiamo organizzato Corsi di Sartoria, e in seguito le abbiamo orientate e iscritte in un apposito centro di formazione per ragazze, il Centro Nyota, dove con i nostri allievi muratori abbiamo costruito una bella sala-laboratorio.

Sei anni dopo, nel 2015, non essendo più in grado di portare avanti da solo un'opera così impegnativa, si decise di affidarla temporaneamente ai Padri Salesiani.

Sempre nel 2008 mi sono reso conto che, per aiutare veramente i bambini, era necessario fare qualcosa per la promozione sociale delle loro mamme aiutandole ad emanciparsi dalla condizione di miseria nella quale molte di loro si trovavano.

A questo scopo ho iniziato per loro a titolo sperimentale dei Corsi pratici di sartoria che hanno avuto successo..

Nel mese di settembre 2009, un contributo straordinario offertoci dal Direttore nazionale del PAM ( Programma Alimentare Mondiale dell'ONU) abbiamo avuto la fortuna di poter acquistare una parcella di terreno nel quartiere popolare di Cimpunda dove coi nostri allievi muratori, guidati da un capomastro esperto, abbiamo costruito il complesso edilizio del "Centro Sociale Tusaidiane".

Questo Centro, a partire dal 2012, è diventato ufficialmente il "Centro di promozione e formazione delle mamme".

Da allora alcune centinaia di mamme hanno potuto ottenere il loro diploma di Sartoria e ricevere in dono una macchina da cucire manuale per poter esercitare il loro nuovo lavoro di sarte.

Sempre nel 2009 mi aveva particolarmente colpito l'indigenza estrema nella quale vivevano certe mamme rimaste vedove coi loro bambini.

La compera di una parcella di terreno nel quartiere popolare ELILA mi ha dato la possibilità di costruire un piccolo complesso di casette per offrire un alloggio gratuito a queste povere donne.

A partire dal 2011, mi sono reso conto che dovevo fare qualcosa per venire incontro anche alle famiglie molto povere dei bambini che, dopo essere stati accolti e assistiti nella Casa-Famiglia, erano rientrati nelle loro famiglie.

Alcune di queste famiglie vivevano in casette di loro proprietà, ma malandate e fatiscenti. La maggior parte in baracche miserabili dove dovevano pagare un affitto mensile sempre con l'incubo di essere sfrattate in caso di mancato pagamento.

Ho preso l'iniziativa di cominciare a far costruire per queste famiglie indigenti delle casette popolari, modeste ma accoglienti. Un grandissimo sollievo per queste famiglie, oltre che un segno concreto di promozione sociale.

A partire da allora fino a oggi siamo riusciti a costruire un centinaio di casette e dare una sistemazione decente ad altrettante Famiglie indigenti.

Nel settembre del 2011, abbiamo dovuto far fronte a un'altra emergenza.

C'era stato un terremoto che aveva danneggiato diversi edifici. Tra questi quello che era la sede di una Scuola Materna (Asilo) per i bambini di Kadutu.

Le autorità Comunali ne avevano decretato improvvisamente la chiusura per pericolo di crollo. I genitori, non sapendo cosa fare, si rivolsero a me.

Con l'accordo del parroco, misi a disposizione i locali situati sopra il Mini-Stadio che avevo costruito per la pastorale dei bambini.

L'anno successivo emerse l'idea che quello sarebbe stato il luogo ideale per una Scuola Materna della Parrocchia.

Con gli allievi muratori della Scuola di Apprendistato Mestieri che avevano bisogno di far pratica di cantiere, intrapresi i lavori di ristrutturazione dei locali già esistenti aggiungendovi una terza aula scolastica e ricostruendo a lato del Mini-Stadio i nuovi locali per la Pastorale dei Bambini.

Nel 2013 la nuova Scuola Materna, che accoglieva più di 200 bambini, poteva essere ufficialmente inaugurata.

Pensavo che questo sarebbe stato l' ultimo progetto realizzato.

Cominciava infatti a manifestarsi un problema imbarazzante: la perdita progressiva dell'udito. Non è stato facile superare questo handicap che mi metteva a disagio nei contatti con la gente.

C'è voluta una grazia speciale del Signore che mi ha permesso di perseverare e continuare a lavorare con coraggio e rinnovato entusiasmo.

Tutte queste iniziative erano sorte in un contesto socio-politico sempre critico in cui dominava l’insicurezza permanente e i continui tentativi di “balcanizzazione” del Congo operati dal vicino Rwanda con la creazione successiva di Movimenti ribelli che martoriavano la popolazione congolese.

Dopo il Movimento Ribelle RCD (Raggruppamento Congolese per la Democrazia), ci fu la ribellione di due ufficiali di origine ruandese, il colonnello Mutebusi e il generale Nkunda che presero temporaneamente la città di Bukavu nel maggio 2004,

poi il proseguimento della ribellione capeggiata dal generale Nkunda con la creazione nel luglio 2006 di un altro Movimento ribelle, il CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo) e alcuni anni più tardi nel luglio del 2012 l’altro Movimento ribelle M23 che fu apparentemente sconfitto e dissolto nel novembre 2013.

Tutti questi periodi di Ribellione si concludevano con successivi accordi di pace in base ai quali gli elementi armati di questi movimenti ribelli, in gran parte ruandesi, venivano integrati, con la complicità del Presidente Joseph Kabila, nell’esercito nazionale congolese.

Il risultato nefasto di tutte queste operazioni è stato quello di una infiltrazione massiccia di elementi stranieri ruandesi sia nell'esercito nazionale congolese che nell'apparato politico.

Il Congo è diventato in pratica era un Paese “occupato” dai ruandesi. Situazione politica complessa nella quale il Regime sempre più autoritario del Presidente Kabila, poteva contare, oltre che nel sostegno di tutti quei soldati di origine ruandese, anche su un numero sempre più grande di politicanti “congolesi” corrotti, attratti solo dalla prospettiva di un rapido arricchimento.

Nel novembre del 2017, al mio rientro in Congo dopo alcuni mesi di riposo e controlli sanitari, ho ripreso le mie attività col desiderio di consolidare e migliorare la Casa-Famiglia.

La Provvidenza aveva in serbo una sorpresa. Mi ha dato la possibilità di acquistare la parcella di terreno contigua alla nostra, sede di una delle tante Sette spuntate come funghi in questi ultimi decenni. Erano 10 anni che speravamo un giorno di poterla avere. E' stato l'impulso che ci voleva per spingermi a concepire un progetto ambizioso: ampliare la Casa-Famiglia dotandola di uno spazio di gioco coperto che mancava ai bambini e rialzando di un piano tutta la parte anteriore dell'edificio per dare alla Casa-Famiglia una più ampia capacità di accoglienza.

All'inizio di febbraio 2018 ho intrapreso i lavori e il 13 ottobre, in occasione del 50° anniversario della mia Ordinazione Sacerdotale, il nuovo grande edificio si ergeva maestoso davanti agli occhi di tutti.

Quel giorno è stato un vero giorno di "festa popolare" nel quale ho ricevuto dalla gente un grande tributo di riconoscenza e di simpatia, come solo i congolesi sanno fare.

A metà dicembre, un altro colpo di fortuna è venuto a completare le nostre aspirazioni: l'acquisto di un'altra parcella di terreno prospiciente la strada maestra ai bordi della quale è situata la Casa-Famiglia

Nel frattempo, sul piano politico, si preparava un altro avvenimento importante e cruciale per l'avvenire del Congo: il 30 dicembre era stata fissata la data delle elezioni.

Dopo un ripetuto rinvio delle elezioni previste nel dicembre del 2016, dopo diverse manifestazioni pacifiche represse brutalmente dal regime al potere con un bilancio di decine di morti e in seguito alle crescenti pressioni internazionali, sono state tenute finalmente le elezioni presidenziali, legislative e provinciali.

Erano l'occasione di un'alternanza politica tanto attesa e agognata da tutta la popolazione.

Come si temeva, questo appuntamento ha dato luogo, purtroppo, a una colossale Frode elettorale, avvenuta grazie alla complicità della CENI (Commissione Elettorale Nazionale Indipendente) e della Corte Costituzionale totalmente succubi al regime e sulla base di un accordo stipulato sottobanco dal presidente Kabila e la sua coalizione politica (FCC) con la coalizione di due partiti dissidenti dell'Opposizione che si sono lasciati “corrompere” accettando la nomina a Presidente del loro leader Felix Tshisekedi, a condizione di "una coabitazione" al potere col precedente Presidente Kabila e i suoi aggregati.

Tshisekedi è stato proclamato Presidente con un verdetto fraudolento della CENI confermato dalla Corte Costituzionale a detrimento del vero vincitore, il leader dell'Opposizione Martin Fayulu che aveva ottenuto più del 60% dei voti e, cosa ancora più incongruente e assurda, i candidati della coalizione kabilista, nonostante la disfatta cocente del loro leader chiaramente rigettato dalla popolazione con appena un 15% dei voti, sono stati fatti passare ottenendo la maggioranza alla nuova Assemblea Nazionale.

La colossale frode elettorale perpetrata con consumata astuzia dal regime kabilista ha dato luogo a una "Alternanza Politica" solo apparente, con un nuovo Presidente preso dall'Opposizione, ma senza vero potere, condizionato in tutto dall'apparato politico del precedente Presidente il quale potrà continuare, dietro le quinte, a dirigere il Paese.

I Paesi sia africani che occidentali, che davanti alla frode evidente avevano in un primo tempo espresso seri dubbi sulla effettiva trasparenza delle elezioni, hanno in seguito "accettato" la nuova situazione preoccupati soprattutto di tutelare solo i loro interessi a scapito del popolo congolese ancora una volta vistosamente abusato.

A questo punto emerge inevitabilmente una questione: come è possibile che questo immenso e bellissimo Paese Africano abbia un destino tanto crudele, intessuto di drammi continui, sfruttamenti selvaggi e sofferenze senza fine ?

Il principale motivo è uno solo: il Congo è, sul nostro pianeta, uno dei Paesi più ricchi di risorse naturali. Al punto da essere definito “uno scandalo geologico”!

Oltre alle enormi risorse agricole (purtroppo solo potenziali), idriche e forestali, è un Paese ricchissimo di materie prime altamente strategiche per le attuali tecnologie moderne: Colombo-Tantalite (Coltan), Cobalto, Uranio, Tungsteno, niobium, oro, diamanti, Rame, petrolio….

Questo lo mette al centro degli interessi e delle bramosie di tutti i Paesi più sviluppati, sia del mondo occidentale (Stati Uniti e Paesi Europei) che asiatico (soprattutto la Cina) che, servendosi della complicità dei suoi dirigenti preoccupati solo del loro arricchimento personale

E' in questo contesto triste e deludente, che nel mese di gennaio 2019, ho dato iniziato ai nuovi lavori per dotare la Casa-Famiglia di alcune strutture di autofinanziamento: due locali sulla strada maestra che utilizzeremo, il primo per la vendita di bevande varie, pane, latte, polli e uova, e l'altro per organizzarvi un piccolo ristorante.

Sotto questi locali, nella parte interna della parcella allestiremo un grande pollaio per galline da ingrasso e galline ovaiole, installeremo un forno metallico per la produzione del pane e un mulino per macinare mais, sorgho, soja e manioca.

Il resto della parcella sarà un giardinetto dove, quando fa bel tempo, i bambini potranno giocare all'aperto.

Dopo di questo non so se sarò ancora in grado di intraprendere altri progetti.

Ma una cosa è certa: finché il Signore mi darà l'energia necessaria, continuerò senza fermarmi a fare tutto ciò che mi sarà possibile per il bene di questa gente, conservando sempre nel cuore una grande riconoscenza nei confronti di tanti Amici italiani che, con la loro generosità, mi hanno dato e continuano a darmi la possibilità di farlo.

P. Giovanni Querzani

da 48 anni Missionario in Congo